Capire che cos'è il Controllo Mentale
Introduzione alle problematiche della comunità settaria.
A cura del Dott. Steven Hassan, psicologo.
Una organizzazione che pratica il controllo mentale dà vita a una comunità elitaria sotto l'egida di un leader auto-proclamato, carismatico, dogmatico che pretende devozione totale e sostiene che il fine giustifica i mezzi.
Le quattro componenti del controllo mentale
Certamente non si può capire il controllo mentale senza comprendere quanto siano potenti le tecniche di modificazione del comportamento e quale ruolo giochi l'influenza del conformismo e dell'obbedienza all'autorità. Se prendiamo questi capisaldi della psicologia sociale come base di partenza, potremo meglio identificare gli elementi fondamentali del controllo mentale. Stando alla mia esperienza, il controllo mentale può essere compreso appieno analizzando le tre componenti descritte dallo psicologo Leon Festinger in quella che è conosciuta come la "teoria della dissonanza cognitiva". Si tratta del controllo del comportamento, controllo dei pensieri e controllo delle emozioni.
Ogni componente influenza profondamente le altre due: modificandone una anche le altre tenderanno a cambiare. Se si riesce a cambiarle tutte e tre, l'individuo sarà spazzato via. Il mio personale coinvolgimento nei culti distruttivi mi ha portato a formulare anche una quarta componente, che considero essenziale: il controllo dell'informazione. Controllare il flusso di informazioni di cui una persona dispone significa limitare la sua capacità di pensare autonomamente. Io definisco questi fattori le quattro componenti del controllo mentale, i veri capisaldi che aiutano a capire il modo in cui tale controllo si realizza.
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Vediamo ora più da vicino ciascuna componente del controllo mentale.
Controllo del comportamento
Il controllo del comportamento è ciò che regola la realtà fisica di un individuo. Include il controllo del contesto in cui la persona si trova - vale a dire dove abita, quali vestiti indossa, che cibo mangia, quanto dorme - come pure il suo lavoro, le abitudini e le altre attività.
La necessità di esercitare il controllo comportamentale è alla base dei rigidi programmi di vita che molti culti impongono ai propri adepti. Una buona parte della giornata viene destinata a riti e attività di indottrinamento. È frequente l'abitudine di assegnare agli affiliati obiettivi e lavori specifici, in modo da limitare il loro tempo libero e il loro comportamento.
Nei culti distruttivi c'è sempre qualcosa da fare. In alcuni dei gruppi più restrittivi i membri devono chiedere il permesso per qualsiasi cosa. In alcuni casi l'individuo viene reso così dipendente dal punto di vista finanziario che la sua facoltà di scelta comportamentale si restringe automaticamente. Un adepto deve chiedere i soldi per il biglietto dell'autobus o per comprarsi i vestiti, o il permesso per recarsi dal medico, scelte che tutti noi consideriamo strettamente personali. Il seguace deve essere autorizzato a telefonare a un amico o a un parente fuori dal gruppo e deve rendere conto di ogni ora della sua giornata. In questo modo il gruppo può tenere saldamente le redini del suo comportamento e controllarne anche pensieri ed emozioni.
Il comportamento individuale è spesso assoggettato alla richiesta di eseguire in gruppo ciascuna azione. In molti culti le persone mangiano assieme, lavorano assieme, partecipano a riunioni di gruppo e talvolta dormono nella stessa stanza. L'individualismo è disincentivato. Ognuno vede assegnarsi degli "amici" fissi, oppure si viene inseriti in gruppi composti da una mezza dozzina di membri.
La struttura del comando è normalmente autoritaria; il processo decisionale parte dal capo e, passando per i luogotenenti, arriva ai diretti inferiori. Da questi prosegue scendendo giù fino ai ranghi più bassi. In un ambiente così ben strutturato, tutti i comportamenti possono essere premiati o puniti. Ai leader fa gioco mantenere i membri del gruppo in una situazione di tensione continua. Se una persona agisce bene sarà lodata in pubblico dai suoi diretti superiori, riceverà un premio oppure una promozione. Se al contrario non è efficiente, sarà additata agli altri, criticata e costretta a lavori umili del tipo pulizia dei bagni o lucidatura delle scarpe.
Altre forme di punizione possono prevedere il digiuno "volontario", docce fredde, stare alzati tutta la notte a fare sorveglianza. Una persona che partecipa attivamente alla sua punizione si convincerà di averla meritata.
Ogni singolo culto ha una propria serie di comportamenti rituali che fanno da collante per il gruppo. Vi si possono comprendere un gergo particolare insieme a una postura e un'espressione facciale impostate. È frequente inoltre l'utilizzo di cliché comportamentali e atteggiamenti che operano da segno distintivo del gruppo, indicando l'appartenenza in modo inequivocabile. I moonisti, ad esempio, si erano appropriati di molte usanze tipicamente orientali, tipo togliersi le scarpe entrando in una sede, sedere stando inginocchiati e inchinarsi in avanti in segno di saluto ai membri più anziani. Fare queste piccole cose dava l'impressione a noi membri del gruppo di essere qualcosa di speciale.
Se una persona non mostra "entusiasmo" nell'adempimento dei propri doveri, dovrà risponderne al proprio diretto responsabile, dietro l'accusa di essere egoista o impura, o di non impegnarsi abbastanza. Verrà sollecitata a prendere come riferimento un membro anziano di cui dovrà seguire l'esempio, arrivando perfino a imitarne la voce. L'obbedienza agli ordini di un capo è la più importante lezione da apprendere. Chi comanda sa che non potrà mai controllare i pensieri di un individuo, ma sa anche perfettamente che nel determinarne il comportamento, riuscirà ad arrivare anche al cuore e alla mente di quel soggetto.
Controllo del pensiero
Il controllo del pensiero, la seconda importante componente del controllo mentale, prevede l'indottrinamento dei membri in maniera così pervasiva da far loro interiorizzare la dottrina del gruppo, assumere un nuovo sistema gergale e usare tecniche di blocco del pensiero che tengano le loro menti "centrate". Per diventare un buon seguace, infatti, una persona deve prima imparare a manipolare i propri processi mentali.
Nei culti totalitari, l'ideologia è interiorizzata come "la verità", l'unica e autentica "mappa" della realtà. La dottrina serve non solo a filtrare le informazioni in entrata, ma indica anche il modo in cui elaborarle. Generalmente si tratta di dottrine assolutistiche, che dividono ogni cosa in "bianco o nero", "noi o loro". Tutto ciò che è buono si incarna nel leader e nel suo gruppo. Tutto ciò che è cattivo è nel mondo esterno. I gruppi più totalitari dichiarano che la loro dottrina è stata scientificamente dimostrata. La dottrina sostiene di poter esaudire tutte le domande, di rispondere a tutti i problemi e a tutte le situazioni. Un affiliato non ha bisogno di pensare con la sua testa, dal momento che la dottrina pensa per lui.
Un culto distruttivo ha un suo "proprio" linguaggio, che contempla parole ed espressioni tipiche. Poiché il linguaggio fornisce i simboli che usiamo per pensare, controllare determinate parole significa anche controllare i pensieri. Molti gruppi infatti condensano situazioni complesse, danno loro un'etichetta e le trasformano in cliché di gruppo. Questa etichetta, che altro non è che l'espressione verbale del gergo interno, governa il modo di pensare di ogni singolo individuo, quale che sia il contesto in cui si trova.
Nei moonisti, ad esempio, ogni qual volta hai difficoltà a entrare in rapporto con qualcuno, che sia superiore o inferiore a te per grado, si dice che hai un "problema Caino-Abele". Non importa chi ne sia coinvolto o quale possa essere il problema; esso è semplicemente il "problema Caino-Abele". Il termine stesso indica la soluzione del problema: Caino deve obbedire ad Abele, e seguirlo piuttosto che ucciderlo come è scritto nell'Antico Testamento. Caso chiuso. Pensarla in modo diverso significherebbe obbedire al desiderio di Satana di vedere Caino, il cattivo, prevalere su Abele, il giusto. Nella testa di un bravo affiliato, l'eventuale giudizio critico sul comportamento sbagliato di un leader non può oltrepassare questa barriera.
I cliché del culto, così come il suo gergo, costruiscono un ulteriore muro invisibile tra appartenenti ed esterni. Il linguaggio del gruppo aiuta i membri a sentirsi speciali. Serve anche a confondere i nuovi arrivati che vogliono capire che cosa si stanno dicendo i membri e sono stimolati a pensare che basterà loro studiare molto per arrivare a "capire" la verità. Di fatto, facendo proprio quel linguaggio essi impareranno invece a non pensare. Verrà loro insegnato che capire è credere.
Un altro aspetto chiave del controllo del pensiero prevede l'addestramento specifico dei soggetti a bloccare e respingere qualsivoglia informazione critica nei confronti del gruppo. I basilari meccanismi di difesa di una persona vengono confusi a tal punto da farla arrivare a difendere l'identità acquisita nel culto a scapito dell'identità briginaria, che soccomberà nello scontro. La prima linea di difesa include la negazione ("Non è vero che stia accadendo quanto tu dici"), razionalizzazione ("Ciò accade per un motivo molto valido"), giustificazione ("Questo accade perché doveva accadere") e desiderio ("Mi piacerebbe fosse vero, per cui forse lo è").
Se un'informazione trasmessa al membro di un culto viene percepita come attacco al capo, alla dottrina o al gruppo stesso, per tutta risposta viene immediatamente eretto un muro di ostilità. I seguaci sono stati addestrati a non credere ad alcuna critica. Ogni eventuale appunto nei loro confronti è stato preventivamente presentato come "menzogne contro di noi" indotte da Satana nelle menti delle persone" oppure "bugie che il complotto mondiale fa stampare sui giornali per gettare discredito su di noi, perché sa che gli stiamo col fiato sul collo". Paradossalmente, le critiche mosse al gruppo non fanno che rafforzare la convinzione che la sua visione del mondo sia più che fondata. L'informazione, perciò, non viene mai accolta correttamente.
Il sistema maggiormente efficace attualmente in uso al fine di stabilire un controllo mentale sugli adepti, è quello che prevede il blocco del pensiero tramite rituali. Ai seguaci viene insegnato come bloccare da soli i propri pensieri, dicendo loro che ciò li aiuterà a crescere e a diventare più efficienti. Ogni qual volta viene colto da un "cattivo" pensiero, il membro di un culto mette in atto la tecnica del blocco del pensiero per eliminarne la "negatività" e concentrarsi su se stesso, imparando così a chiudere fuori dalla porta qualsiasi cosa minacci la sua realtà.
Ogni gruppo possiede la propria tecnica di blocco del pensiero, che può consistere nel concentrarsi in preghiera, cantilenare ad alta voce o mentalmente, meditare, cantare o canticchiare. Queste attività, molte delle quali sono per altro utili e valide in situazioni normali, vengono utilizzate nei culti distruttivi in maniera perversa. La persona è condizionata ad attivarle al primo segnale di dubbio, ansia o incertezza ed è in tal modo che esse diventano azioni meccaniche.
La tecnica viene integrata nel giro di poche settimane e presto diventa così automatica che l'individuo non ha più alcuna coscienza di aver avuto un "cattivo" pensiero. Egli realizza solo di essersi messo improvvisamente a canticchiare o a pregare. I membri sono convinti che l'uso del blocco del pensiero sia motivo di crescita interiore. In realtà si stanno trasformando in persone dipendenti. Alla fuoriuscita da un culto che usa il blocco del pensiero in modo massiccio, una persona attraversa normalmente una lunga e difficile fase di recupero, prima di potersi liberare del tutto da tale dipendenza.
Il blocco del pensiero è il modo più diretto per mandare in corto la capacità di una persona di verificare la realtà. Di fatto, se una persona pensa esclusivamente in maniera positiva rispetto al suo coinvolgimento nel gruppo, è senza dubbio intrappolato. Dal momento che la dottrina viene considerata perfetta e così pure il suo leader, qualsiasi problema possa apparire all'orizzonte non può che scaturire da una propria manchevolezza. In questo modo il seguace impara a incolpare sempre se stesso ed è spinto a lavorare ancora di più.
Il controllo del pensiero può effettivamente bloccare qualsiasi sensazione che non corrisponda a quelle previste dalla dottrina del gruppo e serve a fare dell'adepto uno schiavo laborioso e obbediente. In ogni caso, quando il pensiero viene controllato anche le emozioni e i comportamenti sono posti sotto controllo.
Controllo delle emozioni
Il controllo delle emozioni, la terza componente del controllo mentale, mira a manipolare e limitare la sfera dei sentimenti. Sensi di colpa e paura sono gli strumenti impiegati per tenere le persone sotto controllo. Il senso di colpa è forse l'unica e più importante leva emozionale capace di indurre conformismo e accondiscendenza. La colpevolizzazione messa in atto può essere di vario tipo: storica (ad esempio il fatto che gli USA abbiano sganciato la bomba atomica su Hiroshima); di pensiero ("Non sto vivendo secondo le mie potenzialità"); legata ad azioni passate ("Ho superato un esame usando l'imbroglio"); sociale ("C'è gente che sta morendo di fame"), e via dicendo. Tutti sensi di colpa che possono essere sfruttati da chi è a capo di un culto distruttivo. La maggior parte degli affiliati non è affatto consapevole che i sensi di colpa e le paure vengono usati al fine di controllarli: sono stati condizionati a colpevolizzare sempre e soltanto se stessi, quindi rispondono con gratitudine ogni qual volta un dirigente fa loro notare una "mancanza".
La paura mira a tenere unito il gruppo ed è sostanzialmente usata in due modi. Il primo è la creazione di un nemico esterno che ti perseguita: l'FBI ti metterà in prigione o ti ucciderà; Satana ti trascinerà negli Inferi; gli psichiatri ti faranno l'elettroshock; seguaci di culti rivali ti spareranno o tortureranno; e infine, ovviamente, i deprogrammatori. Il secondo sistema impiegato è terrorizzare il soggetto a fronte della possibilità di essere scoperto e punito dai capi. La paura di cosa ti potrà accadere se non fai bene il tuo lavoro può essere terribile. Alcuni gruppi sostengono che se i discepoli saranno negligenti nell'adempimento del loro lavoro, ciò causerà un olocausto nucleare o qualche altro immane disastro.
Per controllare qualcuno attraverso le sue emozioni e i suoi sentimenti, è necessario procedere alla loro ridefinizione. La felicità, ad esempio, è una sensazione cui tutti aspirano. Se la felicità viene però definita essere vicini a Dio e se quest'ultimo è un Dio infelice (e tale sembra essere in molte sette religiose), allora per essere felici bisognerà essere infelici. In quest'ottica la felicità consiste pertanto nel soffrire, in modo da essere più vicini a Dio, secondo una visione che compare anche in qualche teologia non cultista, ma che in un culto diventa strumento di sfruttamento e controllo. In alcuni gruppi la felicità consiste semplicemente nell'eseguire le direttive del leader, reclutando proseliti o facendo affluire nelle casse del culto quanto più denaro possibile. La felicità è definita come il senso della comunità ed è riservata a coloro che rispettano i dettami del culto.
Lealtà e devozione sono le qualità maggiormente valutate. Ai seguaci non è permesso sentire o esprimere emozioni negative, eccetto che verso gli estranei. Viene loro insegnato che non devono pensare a se stessi e ai propri bisogni ma sempre ed esclusivamente a quelli del gruppo, non devono mai lamentarsi, non devono criticare un capo ma sempre e solo se stessi.
Molti gruppi esercitano un controllo completo sulle relazioni interpersonali. I capi possono dire ai membri - come regolarmente fanno - chi devono frequentare e chi accuratamente evitare.
Alcuni arrivano a indicare ai propri affiliati chi possono sposare e chi no, esercitando un controllo diretto sull'intero rapporto matrimoniale, vita sessuale inclusa. Alcuni gruppi pretendono che i loro devoti pratichino la totale astinenza sessuale e la soppressione dei desideri, cosa che si tramuta in senso di repressione e frustrazione, con la possibilità di canalizzare l'energia in un lavoro ancora più impegnativo. Altri gruppi richiedono invece che il sesso venga praticato, e se una persona non si conforma alla richiesta la si fa sentire egoista. In ogni caso, è il gruppo che esercita il controllo emozionale.
Le persone sono sempre tenute in tensione, prima lodate e subito dopo insultate. Tale uso distorto delle tecniche di condizionamento - ricompensa e punizione - favorisce un sentimento di dipendenza e insicurezza. In alcuni gruppi può accadere che un giorno ti ritrovi a parlare in giacca e cravatta alla Tv e il giorno seguente sei messo in una situazione di duro lavoro manuale come punizione per qualche immaginaria inadempienza.
La confessione di peccati commessi nel passato o di comportamenti errati è anch'esso un potente mezzo per il controllo delle emozioni. È ovvio che una volta che lo hai pubblicamente ammesso, difficilmente il tuo peccato verrà davvero perdonato o dimenticato, Non appena ti capiterà di uscire dai ranghi ti verrà sbattuto in faccia e usato per farti obbedire. Se mai ti dovessi trovare coinvolto in una seduta di "confessione", ricordarti quanto segue: qualsiasi cosa dirai potrà e sarà usata contro di te. Un espediente che potrà arrivare a trasformarsi in un vero e proprio ricatto, non appena uscirai dal gruppo.
Come abbiamo visto nel terzo capitolo, la tecnica più potente per il controllo emozionale è l'induzione di fobie. Si tratta, in sostanza, di indurre una vera e propria reazione di panico alla sola idea di abbandonare il gruppo, cui fanno seguito reazioni tipiche: sudorazione eccessiva, tachicardia, desiderio intenso di evitare il verificarsi della situazione temuta. Ai seguaci viene detto che allorquando dovessero lasciare il gruppo si ritroveranno soli e sperduti, indifesi e incapaci a fronteggiare una realtà da incubo: impazziranno, saranno uccisi, finiranno per drogarsi o si suicideranno. Resoconti di simili casi vengono ripetuti costantemente, sia a lezione che nei pettegolezzi di corridoio, storie che vengono sussurrate in tono concitato da adepto ad adepto. È praticamente impossibile per un seguace ben indottrinato immaginare di essere al sicuro fuori dal gruppo.
Quando i leader di un culto dichiarano in pubblico che "i seguaci sono liberi di andarsene quando desiderano: "la porta è sempre aperta", danno l'impressione che i loro affiliati siano completamente liberi, e che se restano lo fanno per loro libera scelta. In realtà, essi non hanno alcuna reale possibilità di scegliere, dal momento che sono stati condizionati ad avere una paura fobica del mondo esterno. Le fobie indotte eliminano a livello psicologico la libertà di scelta di abbandonare il gruppo per il solo fatto di essere infelici o perché si ha il desiderio di fare qualche altra cosa. Se un gruppo riesce ad avere pieno controllo sulle emozioni di una persona, riuscirà a controllarne anche pensieri e azioni.
Controllo dell'informazione
Il controllo dell'informazione è l'ultima componente del controllo mentale. L'informazione è il carburante che usiamo per il buon funzionamento della nostra mente: se a una persona viene negata l'informazione necessaria a formulare giudizi fondati, non sarà più in grado di formarsi opinioni proprie. Le persone rimangono intrappolate nei culti non solo perché viene loro negato l'accesso a informazioni di carattere critico, ma anche perché vengono a mancare loro quegli appropriati meccanismi interni che servono a elaborarle. Tale controllo dell'informazione ha un impatto drammatico e devastante.
In molti culti totalitari le persone hanno un accesso limitato ai mezzi d'informazione che non siano di pertinenza del culto, sia che si tratti di giornali, riviste, televisione o radio. Ciò è in parte dovuto al fatto che vengono tenute impegnate a tal punto da non avere il benché minimo tempo da dedicare ad altro. E quando leggono qualcosa, si tratta sempre di propaganda del culto o di materiale che è stato accuratamente censurato al fine di "aiutare" i seguaci a non spostare la loro attenzione dal culto.
Il controllo dell'informazione avviene a tutti i livelli relazionali. Alle persone non sono permesse conversazioni critiche nei confronti dei capi, della dottrina o dell'organizzazione. I seguaci devono spiarsi a vicenda e riportare immediatamente ai leader attività improprie e commenti inopportuni. Ai nuovi adepti non è consentito comunicare tra loro, se non alla presenza di un membro anziano che faccia da accompagnatore. E, cosa ancora più importante, viene proibito loro di avere contatti con ex seguaci o con chi è critico nei confronti del culto, devono essere evitate soprattutto le persone che potrebbero fornire loro maggiori informazioni. Alcuni gruppi arrivano al punto di leggere le lettere e intercettare le telefonate dei loro affiliati.
L'informazione viene in genere frammentata, di modo che i seguaci non possano avere il quadro completo della situazione. Nei gruppi più numerosi agli adepti viene detto solo ciò che "devono sapere" per fare il loro lavoro. Un affiliato può quindi non essere al corrente di un'importante azione legale, di una notizia data dai mezzi d'informazione o di una qualche disputa interna che stia portando scompiglio nel gruppo di un'altra città. I seguaci di un gruppo hanno invece la sensazione di essere meglio informati su quanto avvenga nel gruppo di quanto non lo siano gli estranei, ma nella mia attività di counselor di ex membri ho scoperto che, in realtà, sono proprio quelli che ne sanno di meno.
Le organizzazioni distruttive controllano l'informazione anche attraverso differenti livelli di "verità". Le ideologie dei culti hanno dottrine "esterne" e "interne". Il materiale esterno, relativamente innocuo, è riservato al pubblico e ai nuovi reclutati. Le dottrine interne, invece, vengono svelate solo gradualmente, mano a mano che la persona entra a far parte dell'organizzazione in maniera sempre più approfondita.
Ad esempio: i moonisti hanno sempre sostenuto in pubblico di essere filoamericani, a sostegno della democrazia e per la famiglia. I moonisti erano per l'America nel senso che volevano per il Paese ciò che essi ritenevano essere la cosa migliore, vale a dire che diventasse una teocrazia governata da Moon. Essi credevano che la democrazia fosse stata istituita da Dio al solo scopo di dare alla Chiesa dell'Unificazione l'opportunità di organizzare una dittatura teocratica. Erano per la famiglia nel senso che credevano che la "vera" famiglia di ogni essere umano fosse costituita da Moon, sua moglie e i loro figli spirituali. In realtà la loro dottrina predicava - e predica tuttora - che l'America è inferiore alla Corea e deve sottomettersi ad essa, che la democrazia è un sistema folle che "Dio sta facendo gradualmente scomparire" e che le persone devono essere allontanate dalla loro famiglia "fisica" (contrapposta a quella "spirituale") quando questa sia critica nei confronti del culto.
Un affiliato può sinceramente credere che le dottrine esterne non siano bugie, ma solo un altro livello di verità. Creando una situazione in cui non esiste un'unica verità ma una verità a più livelli, i leader dei culti fanno in modo che sia pressoché impossibile per un individuo formarsi giudizi conclusivi ed obiettivi. Nel caso l'adepto dovesse sollevare obiezioni, gli verrà risposto che non è ancora abbastanza maturo per conoscere tutta la verità, ma che presto gli sarà tutto chiaro. Solo lavorando sodo, gli si dice, potrà guadagnarsi l'accesso ai livelli superiori della verità.
Ma prima di allora, dovrà superare molti "livelli interni". Spesso, un membro anziano convinto di conoscere tutto ciò che si deve sapere è invece ben lontano dal livello ultimo di conoscenza della dottrina interna. Coloro che pongono domande e vogliono sapere troppo e troppo in fretta, finiscono ovviamente con l'essere indirizzati nuovamente verso un obiettivo esterno, fino a che non finiranno col dimenticare le loro obiezioni.
Controllo del comportamento e del pensiero, delle emozioni e delle informazioni: ogni forma di controllo ha grande potere e influenza sulla mente umana. Insieme formano una rete totalizzante che può manipolare anche le persone più forti. Di fatto, sono proprio gli individui più forti a trasformarsi nei membri più devoti e coinvolti.
Nessun gruppo mette in atto tutto ciò che viene descritto in questo capitolo. Ho tentato di coprire solo le pratiche più comuni e diffuse nell'ambito di ciascuna componente del controllo mentale. Sicuramente, esistono anche numerose altre metodologie d'uso comune in certi culti e che non sono qui riportate. Alcune pratiche potrebbero rientrare in più d'una di queste categorie.
Tanto per fare un esempio, vi sono culti che usano cambiare il nome personale dei nuovi adepti, in modo da accelerare la formazione della "identità" indotta dal gruppo: questo è il caso tipico di una tecnica che potrebbe essere inclusa in tutte e quattro le categorie considerate.
I sistemi usati variano da gruppo a gruppo. Ad esempio, in alcuni gruppi l'induzione di fobie è evidente mentre in altri è molto più subdola. Ciò che conta è l'impatto che tutto ciò ha avuto sull'individuo. Dobbiamo chiederci se è lui che detiene il controllo sulle sue scelte di vita e l'unico modo per scoprirlo è offrirgli l'opportunità di riflettere, consentirgli libero accesso a tutte le informazioni di cui ha bisogno, fargli sapere che è libero di lasciare l'ambiente in cui si trova.
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